Biden su Israele: "Non fa abbastanza per difendere operatori umanitari"Diventare docente in Italia e poter insegnare nelle scuole è ormai privilegio di pochi. Soprattuto per i supplenti che vengono pagati a distanza di 3 o 5 mesi dalla fine dell'impiego,VOL ma la precarietà di questo lavoro non è sicuramente una novità.La storia di Gabriella Giusti, 46 anni, insegnante e madre di due figli adolescenti, accende i riflettori su uno dei temi più discussi di sempre nel nostro Paese: la scuola. Ottenere una quotidianità lavorativa, stabile, nell'ambito scolastico sembra ormai un miraggio e Gabriella non riesce ad arrivare a fine mese con lo stipendio da 1.500 euro che non arriva da tre mesi. La donna è costretta a chiedere prestiti alla mamma.La storia di Gabriella«Insegno storia dell’arte alle superiori, lavoro 16 ore a settimana in 8 classi, e da tre mesi sono senza stipendio. Ma quei 1.500 euro mi servono per vivere», rivela la donna a Repubblica. La storia di Gabriella Giusti riguarda di tutti i docenti chiamati per le supplenze brevi, cioè quelle che scadono prima del 30 giugno e attendono dai tre ai cinque mesi di ricevere lo stipendio.«Ho 46 anni, sono separata, ho due figli adolescenti a carico, vivo a 70 chilometri dal liceo scientifico di Parma in cui insegno, ho le spese, le bollette, la benzina per andare a lavorare. Sono andata in banca a sbloccare dei soldi per averli sul conto perché ora ci sono le feste, ho chiesto mille euro di prestito a mia mamma che soffre di Alzheimer e ha bisogno di cure, altri soldi me li ha prestati il mio compagno, dovrò pagare a rate di 50 euro gli occhiali da vista che ho dovuto comprare, ma non è normale che qualcuno ti mantenga, non può diventare normale, non è giusto, è umiliante, non si può dire ‘devi avere pazienza’» dichiara la donna.L'élite scolasticoLe conseguenze, che la precarietà di questo lavoro comporta, non verebbero a galla perché le persone si vergognerebbero, secondo le parole di Gabriella. «Leggo miei coetanei o persone più giovani che finalmente hanno avuto supplenze che si vergognano a dire in famiglia o ad amici di avere difficoltà economiche e quindi non protestano, resistono. Ma se non si ha una rete di appoggio, come si fa? Insegnare non dovrebbe essere un lavoro riservato a un’élite».Continua dicendo che «Al preside della mia scuola ho detto che se continua così non avrò più i soldi per pagare la benzina e venire a lavorare. Lui non c’entra niente e non può fare niente, ma mi ha chiesto: “Chi te lo fa fare?”. I ragazzi, ho risposto».L'appello allo StatoL'ultima mossa dei precari della scuola risale all'11 dicembre: una petizione online per sollevare la protesta sulle attese troppo lunghe dei pagamenti, con più di 10mila firme registrate. Ma lo Stato?«Questa situazione - si legge nella petizione - è inaccettabile perché questi professionisti svolgono un ruolo cruciale nel sistema educativo italiano. Secondo l'ISTAT, circa il 10% del personale scolastico in Italia è costituito da supplenti (ISTAT, 2019). Questi lavoratori meritano di essere pagati per il loro lavoro prezioso. Chiediamo che il ministro dell'Istruzione Giuseppe Valditara faccia una modifica alla procedura per i pagamenti, per assicurare, come dalle regole fissate daI Dpcm del 31 agosto 2016, che il pagamento spettante al personale arrivi entro e non oltre l’ultimo giorno del mese successivo». Ultimo aggiornamento: Mercoledì 20 Dicembre 2023, 15:33 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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