Economia del mare cresce, le imprese ora sono quasi 228mila - Blue Economy - Ansa.itQuesto è un nuovo numero di Areale,èancorapiùMACD la newsletter di Domani sul clima e l’ambiente. Questa settimana parliamo di come elaborare la complicata settimana che è appena trascorsa, di una decisione promettente della Corte Suprema del Brasile, del grande problema del metano, e del greenwashing delle compagnie aeree. Per iscriverti gratuitamente alla newsletter in arrivo ogni sabato mattina clicca qui. Buongiorno, questo è un nuovo appuntamento con Areale, io sono Ferdinando, vi ringrazio come sempre per essere qui, con gli occhi su questa newsletter, ovunque siate, qualunque cosa stiate facendo. Partiamo. Intro: una settimana complicata. Sono giorni in cui sembra impossibile tenere il passo delle cattive notizie, al punto che, fuori contesto, vi dico che le balenottere comuni, negli anni Settanta praticamente destinate all’estinzione, oggi vengono avvistate in numeri spettacolari dalle spedizioni scientifiche in Antartide. Un pensiero a loro, ai successi delle campagne di conservazione globali, e poi continuiamo: da un lato la realtà climatica ha scandito un rintocco fortissimo, che ha fatto sollevare la testa a tutti noi nello stesso momento, domenica pomeriggio, quando il ghiacciaio della Marmolada è collassato su un gruppo di escursionisti. La crisi climatica ha ucciso, in modo diretto e spietato. Una storia istruttiva su cosa significa superare i punti di non ritorno, ne ho scritto qui per Domani. Ti Candido, il progetto del Forum Disuguaglianze e Diversità, sta spingendo un’iniziativa secondo me giusta: una serie di mozioni coordinate da parte dei membri della comunità affinché il 3 luglio diventi una data simbolica per la lotta al cambiamento climatico. «Non una giornata “per ricordare” ma per cominciare, per imparare». Poi c’è stato il voto purtroppo atteso – del parlamento europeo, che non è riuscito a respingere la decisione della Commissione sull’inserimento dell’energia da gas e nucleare nella tassonomia verde europea. Un segnale gravissimo alla finanza e soprattutto al mondo: quasi una resa al baratto tra sicurezza energetica e sostenibilità. Ne ha scritto Francesca De Benedetti, tanto e in particolare qui. C’è stata una visibile ondata di sconforto, figlia di una fatica che si sta accumulando, come se l’inerzia andasse tutta dalla stessa parte, l’ostinazione dello status quo. Abbiamo visto la resa del G7 alle nuove estrazioni di gas con fondi pubblici, la decisione della Corte Suprema negli Stati Uniti per limitare i poteri dell’Epa, anche nuovi focolai di negazionismo climatico. Quest’ultimo non è un problema solo italiano, in Australia c’è un’ondata di persone che scrivono delle alluvioni a Sydney (la terza solo quest’anno) come di un progetto di ingegneria climatica. Però in Italia il negazionismo climatico sembra proprio vispo, in ascesa, e ben inserito dentro contesti e circuiti che mai tollererebbero altre forme di anti–scienza (sulla pandemia, per esempio) ma sembrano ben felici di accogliere posizioni insostenibili sui cambiamenti climatici. Lo sconforto, in queste giornate caldissime, diventa stanchezza, la stanchezza rischia di spezzarci. Ma questo è il momento in cui le ragioni del clima devono essere più visibili nella società, per questo apprezzo l’idea di Ti Candido. Sarà un autunno complicato e decisivo, quello del 2022. Gli effetti della guerra e della crisi energetica apriranno nuove crepe, quando tornerà il freddo. In contemporanea ci saranno i delicati vertici Cop27 di Sharm el–Sheik (clima) e Cop15 a Montreal (biodiversità). Per questo motivo, ricordiamolo: l’opportunità di ricostruzione offerta dalla tempesta perfetta di pandemia, guerra, crisi climatica è ancora tutta a disposizione: il fermento, l’immaginazione, l’attivazione non sono mai state così richieste e importanti. È ancora una storia in cui ogni membro della specie umana può inserirsi. Serviranno creatività ed energie a ogni livello, dal personale al globale. L’unico modo per sopravvivere in un mondo così desolante è starci dentro senza subirlo, fare un passo avanti e poi un altro ancora. A fine luglio ci sarà un ultimo appuntamento prima del necessario riposo, il Climate Social Camp di Torino. Ci sarò io, ci sarà Domani. Poi ci fermeremo (anche Areale, per qualche settimana). E poi, forse, l’autunno più importante del decennio, e della vostra vita. Brasile: clima e diritti umani C’è una buona notizia, arriva dal Brasile. La Corte Suprema brasiliana è stata la prima al mondo a riconoscere l’accordo di Parigi come un trattato di protezione dei diritti umani. È un salto quantico, che spalanca nuove possibilità, un precedente legale che risuonerà anche fuori dai confini del Brasile. Leggi e politiche in contrasto con l’accordo di Parigi non violano solo un trattato internazionale sul clima, ma anche i diritti umani dei propri cittadini, un’interpretazione che gli stessi firmatari del Paris Agreement non si erano spinti a inserire nel testo (c’è una menzione solo nel preambolo). È un’evoluzione importante, forse è ancora più importante che arrivi dal Brasile, che negli ultimi anni è diventato uno dei paesi più problematici al mondo per quanto riguarda l’ecologia (e non solo l’ecologia, ovviamente). Il segno che resistere e partecipare conta, anche nei contesti scoraggianti. La causa inizia due anni fa ed è stata fatta partire da quattro partiti di opposizione, tra cui il Partido dos trabalhadores, il più grande partito di sinistra del Sudamerica, la casa politica di Lula. Secondo loro il Fundo Clima, il pilastro della politica climatica brasiliana dal 2009, era diventato praticamente inattivo quando Jair Bolsonaro era diventato presidente: senza progetti e senza risorse, un guscio vuoto, che rendeva impossibile per il Brasile tenere il passo dell’accordo di Parigi. I giudici hanno ascoltato scienziati, accademici, la società civile, le popolazioni indigene e hanno ordinato allo stato di riattivarlo. Più informazioni qui. Più metano di quello che pensavamo Nel breve termine, il metano in atmosfera fa più danni della CO2: dura di meno, ma è fino a 80 volte più potente nell’alterare il clima. Un terzo del riscaldamento globale che stiamo sperimentando deriva da questo gas, che nell’aria arriva in diversi modi: per le emissioni degli allevamenti intensivi e delle discariche a cielo aperto, e per le perdite nell’estrazione e nel trasporto di combustibili fossili. È il motivo per cui uno dei risultati più importanti della Cop26 era stato l’accordo per ridurre del 30 per cento le emissioni di metano entro il 2030. Ora però sono arrivati su Nature i risultati di una ricerca che parte da un dato preoccupante: la concentrazione di metano in atmosfera non è calata nemmeno con i lockdown e la pandemia, quando le attività economiche globali hanno rallentato, ripulendo (per una breve ed effimera finestra) il clima. Tutto questo con il metano non è successo ed è una specie di puzzle per gli scienziati: come è possibile che nemmeno un rallentamento brusco dell’economia abbia fermato le sue emissioni. La ricerca su Nature offre la risposta, e non è una buona notizia. Le emissioni sono fatte di input e di output, quello che entra (per cause umane o naturali) e quello che esce, perché i cicli atmosferici e naturali riescono a ripulirlo. Ecco, secondo i ricercatori si sta indebolendo in modo drastico la capacità dell’atmosfera di ripulirsi dal metano che ci buttiamo dentro. Questo gas serra ha un grande problema (riscalda la Terra più della CO2) ma almeno ci dà il vantaggio di avere una durata inferiore, ora sembra che questo secondo aspetto stia svanendo. E la colpa è di un altro effetto della crisi climatica: gli incendi. A partire dal 2019 in Australia, quella degli incendi è diventata una crisi globale, dovuta alle estati più secche, aride, calde, che rendono le foreste molto più infiammabili. È la dinamica che ha messo in ginocchio la California, la Siberia, ma anche la Calabria, la Sicilia e la Sardegna la scorsa estate. Bruciando biomassa vegetale, gli incendi generano monossido di carbonio. Secondo questo studio il monossido di carbonio reagisce con il radicale di ossidrile, un’entità molecolare che ha un compito importantissimo: pulire l’atmosfera dal metano. È una specie di detergente naturale, spiegano gli autori. Gli incendi stanno inibendo su scala globale la capacità del detergente, il metano persiste molto di più ed è una pessima cosa per la prospettiva del riscaldamento globale. È un circolo vizioso: «I cambiamenti climatici hanno aumentato il tasso col quale il metano si accumula in atmosfera, intrappolando più calore, la Terra si riscalda di più e più velocemente, e questo fa accumulare ancora il più metano. Un classico circolo vizioso», ha scritto su The Conversation Simon Redfern, uno dei due firmatari della ricerca. «Gli effetti del cambiamento climatico sul metano sono quattro volte più alti di quanto fosse stimato nell’ultimo rapporto Ipcc, che era stato pubblicato solo pochi mesi fa». Insomma, questa ricerca mostra che siamo più vicini al precipizio di quanto ritenessimo di essere. «Questi risultati sono scioccanti», prosegue Redfern, «perché dimostrano quanto gli effetti dei cambiamenti climatici sul funzionamento della Terra siano ancora molto sottovalutati». Dal punto di vista delle politiche energetiche, il Global methane pledge, come tutte le altre misure decise a Cop26, sembra essere stato accantonato. Non vengono messe in discussione le fonti principali di emissioni di questo gas: allevamenti intensivi ed estrazione e trasporto di combustibili fossili. Il metano sembra essere in questo momento un angolo cieco dell’azione per il clima, a febbraio (il giorno prima che scoppiasse la guerra in Ucraina, per altro) l’Agenzia internazionale dell’energia aveva diffuso un report secondo il quale i numeri ufficiali su emissioni e perdite di metano forniti dal settore energetico sottovalutavano il problema del 70 per cento. «C’è bisogno di più trasparenza», scriveva la Iea a febbraio. Un modo soft per dire che fino a oggi hanno mentito. Ora la ricerca pubblicata su Nature chiude il cerchio: dal settore energia arriva più metano di quello che pensavamo e l’atmosfera diventa sempre meno capace di smaltirlo naturalmente. Tutto questo mentre globalmente la corsa a nuove estrazioni procede a pieno ritmo. Aerei e flight shaming Parliamo di una cosa complicata: parliamo di prendere l’aereo. Ci sono persone che vivono ogni singolo volo come un dilemma ecologico ed etico, altre che hanno praticamente smesso di volare, altre che continuano senza problemi, come dimostra per altro il caos negli aeroporti di queste settimane: si sta volando tantissimo. È una cosa complicata perché un mondo senza aerei è un mondo dalle geografie ristrette, più chiuso, distante, l’aviazione civile è stata un innesco per l’incontro tra culture diverse, forse più che qualsiasi altro settore. L’incontro tra culture non è sempre una passeggiata, ma qui non c’è nessun rimpianto di un tempo pre-aerei in cui – tranne pochi privilegiati – gli stranieri non si guardavano mai nemmeno in faccia. Dunque: il tema, da un punto di vista delle notizie, è che un’organizzazione ambientalista olandese, Fossielvrij NL, ha fatto causa alla compagnia di bandiera KLM per greenwashing. La campagna promozionale sotto accusa è quella partita nel 2019 il cui motto è fly responsibly, «vola responsabilmente». Il cuore dell’idea per KLM è un prodotto chiamato CO2zero, con il quale la compagnia aerea compensa (o sostiene di compensare) le emissioni dei suoi voli attraverso progetti di riforestazione o l’acquisto di biocarburanti. Sulla falla dei progetti di carbon offset come questo, su Areale abbiamo parlato tante volte: piantare alberi è una misura da pensiero magico, spesso viene fatta fuori contesto, rischia di produrre danni ecologici, e non darà mai la garanzia di compensare delle emissioni che siamo nel frattempo certi di aver mandato verso l’atmosfera. Secondo Fossielvrij NL, KLM vende ai suoi clienti una possibilità che non esiste nella realtà, e ha chiesto alla Unfair consumer practices directive che la campagna venga ritirata, che non ne vengano promosse di simili e che KLM ammetta di aver sbagliato. Posizione complicata, i carbon offset non rendono le compagnie aeree più pulite ma, a differenza di altri settori, per ora l’aviazione non ha vere alternative per decarbonizzarsi. KLM si difende dicendo che fly responsibly invita anche i passeggeri a volare con consapevolezza e a pensarci due volte prima di salire su un aereo, ed è comunque una cosa che fa impressione sentire da una compagnia aerea. KLM aveva già perso una causa simile contro l’autorità di regolamentazione olandese, stesso destino per Ryanair, che ha dovuto ritirare nel Regno Unito la campagna: Europe’s lowest fares, lowest emissions airline. Per questa settimana è tutto, se avete pensieri – in particolare sul prendere l’aereo, esperienze personali, dubbi, storie di come avete smesso o sul perché non smetterete mai, o sugli aerei che prenderete questa estate – la mail è come sempre: [email protected]. Per parlare con Domani, invece, [email protected]. A presto! Ferdinando Cotugno © Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediFerdinando Cotugno Giornalista. Napoletano, come talvolta capita, vive a Milano, per ora. Si occupa di clima, ambiente, ecologia, foreste. Per Domani cura la newsletter Areale, ha un podcast sui boschi italiani, Ecotoni, sullo stesso argomento ha pubblicato il libro Italian Wood (Mondadori, 2020).
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