I giovani cattolici: chiediamo giustizia per gli studenti picchiati

2024-12-21

La Chiesa solo camminando può aprire altri camminiL’ex magistrato e componente del Csm è stato condannato per rivelazione di atti coperti da segreto. Confermata la condanna in primo gradoLa corte d’appello di Brescia ha confermato la condanna dell’ex magistrato Piercamillo Davigo,MACD condannato in primo grado a un anno e tre mesi per rivelazione di segreto d’ufficio in relazione ai verbali sulla presunta Loggia Ungheria, con pena sospesa e non menzione e risarcimento di 20 mila euro all’ex collega Sebastiano Ardita, costituito parte civile. «É una sentenza abbastanza prevedibile perché Davigo era reo confesso», ha commentato l'avvocato Fabio Repici, legale di Ardita.Si chiude così il secondo grado di merito di un caso giudiziario che è solo uno dei molti filoni prodotti dai verbali “maledetti”: quelli che l’ex legale esterno di Eni, Piero Amara, ha reso ai magistrati di Milano e che hanno paventato l’esistenza di una sorta di nuova P2. Ma che, secondo la verità giudiziaria dei magistrati di Perugia, è stata solo una grande operazione calunniosa, in un misto di verità indimostrabili e falsità conclamate.Il dottor Sottile di Mani pulite è finito invischiato in una delle vicende più complesse degli ultimi anni a causa del suo ruolo di consigliere togato del Csm. GiustiziaLoggia Ungheria, Davigo condannato a un anno e tre mesi per rivelazione di segreto d’ufficioGiulia MerloDa dove arrivano i verbaliLa cronologia dei fatti comincia nel dicembre 2019, quando Amara viene sentito dai magistrati milanesi Ilaria Pedio e Paolo Storari nell’ambito di uno dei filoni dell’inchiesta Eni, in particolare quello chiamato “Falso complotto Eni”. In questa sede rende una serie di verbali, nei quali racconta dell’esistenza di quella che lui chiama la loggia Ungheria, una associazione segreta composta da magistrati, politici, funzionari delle forze dell’ordine e uomini di potere, che operava per influenzare gli esiti dei processi e altre attività occulte.Ad aprile 2020 – in pieno covid – il pm Storari inizia a preoccuparsi dell’inerzia della procura di Milano rispetto ai verbali: secondo lui la notizia di reato andrebbe iscritta per cominciare l’indagine, dando credito ai verbali oppure ipotizzando l’accusa di calunnia a carico di Amara.Invece, secondo la sua percezione, l’immobilità sarebbe imposta dal procuratore capo, Francesco Greco, preoccupato che un’inchiesta di questo genere incrini un altro grosso processo in corso a Milano, l’inchiesta Eni-Nigeria per corruzione internazionale a carico dell’azienda petrolifera e condotta dai pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro.Per questo organizza un incontro con il consigliere del Csm, Piercamillo Davigo per avere consiglio sul da farsi. Davigo assicura di poter ricevere i verbali perchè a lui, in quanto consigliere del Csm, non è opponibile il segreto istruttorio. Storari glieli consegna, in formato word e su una chiavetta Usb, e Davigo promette di attivarsi presso il Csm.Nel maggio 2020, Davigo comunica all’ufficio di presidenza del Csm, composto dal vicepresidente David Ermini e dai due membri di diritto della Cassazione, ad altri consiglieri e anche al presidente della commissione Antimafia Nicola Morra il contenuto dei verbali di Amara, spiegando le sue preoccupazioni per l’inerzia di Milano davanti a quella che potrebbe essere una nuova loggia P2.Ne parla anche con il pg di Cassazione, Giovanni Salvi, membro dell’ufficio di presidenza del Csm e titolare dell’azione disciplinare oltre che vertice dei procuratori italiani, per chiedergli di intervenire sul procuratore di Milano, Francesco Greco.Davigo consegna anche copia dei verbali a Ermini, il quale parla del loro contenuto al presidente della repubblica, Sergio Mattarella. Infine, il 9 maggio 2020, la procura di Milano iscrive nel registro delle notizie di reato lo stesso Piero Amara, il suo collaboratore Alessandro Ferraro e l’avvocato Giuseppe Calafiore, con l’ipotesi di reato di associazione segreta. Le versioni su come questo sia accaduto però divergono: il procuratore generale di Cassazione Giovanni Salvi sostiene di aver telefonato a Greco e di avergli ingiunto di procedere sui verbali della Loggia Ungheria. Greco dice di non aver ricevuto alcuna pressione esterna, che per la delicatezza delle indagini bisognava procedere con cautela e di averlo fatto secondo i tempi che lui riteneva idonei, appunto nel maggio 2020. GiustiziaLa procura di Perugia archivia l’indagine sulla loggia UngheriaGiulia MerloI processi a Davigo e StorariFino a questo momento, la vicenda rimane riservata. A far precipitare indirettamente gli eventi, però, è il pensionamento di Davigo che ha come conseguenza il suo addio forzato dal Csm avvenuto nell’ottobre 2020, dopo un voto divisivo nel plenum e finito con 13 a favore, 6 contrari e 5 astenuti.E’ questo fatto che scatena una serie di conseguenze. A dicembre 2020, infatti, i verbali della loggia Ungheria, lasciati da Davigo nel suo studio, vengono trafugati e inviati in plichi anonimi a due giornali, il Fatto Quotidiano e Repubblica, che però non li utilizzano e vanno a denunciarli alle procure di Roma e Milano. Successivamente, lo stesso plico anonimo viene spedito anche al consigliere togato del Csm Nino Di Matteo, eletto nella corrente Autonomia e Indipendenza di Davigo ma che con il suo voto ne ha deciso il pensionamento dal Csm. 28 aprile 2021 Di Matteo rende pubblica durante il plenum del Csm l’esistenza dei verbali e della presunta loggia Ungheria, dicendo di aver ricevuto anonimamente i verbali e di ritenerli calunniosi nei confronti in particolare del collega del Csm, Sebastiano Ardita.Questa dichiarazione pubblica innesca diverse conseguenze: scoppia il caso dei veleni alla procura di Milano, inizia un procedimento penale a carico di Marcella Contrafatto, la segretaria di Davigo accusata di essere la mittente dei plichi anonimi; si aprono una serie di procedimenti penali e disciplinari a carico dei magistrati coinvolti; per competenza l’inchiesta sulla presunta loggia Ungheria arriva alla procura di Perugia.Inoltre, la procura di Brescia apre un fascicolo per rivelazione di segreto d’ufficio in concorso, a carico di Davigo e Storari. GiustiziaStorari è stato assolto perchè considerava Davigo titolato a ricevere i verbaliGiulia MerloStorari assolto, Davigo condannatoLa vicenda giudiziaria che nasce insieme, a carico di Davigo e Storari, si divide immediatamente. Storari infatti sceglie il rito abbreviato, Davigo invece quello ordinario perchè intende ottenere la massima pubblicità del caso, convinto di aver agito in modo corretto.Nell’avviso di conclusione delle indagini, la procura di Brescia ha scritto che Storari ha agito «al di fuori di ogni procedura formale, per lamentare presunti contrasti», e che tale comportamento sia avvenuto «in assenza di una ragione d'ufficio che autorizzasse il disvelamento del contenuto di atti coperti dal segreto investigativo e senza investire i competenti organi istituzionali deputati alla vigilanza sull'attività degli uffici giudiziari».Nei confronti di Davigo, invece, l’ipotesi accusatoria è che l’ex membro del Csm, «violando i doveri inerenti alle proprie funzioni ed abusando della sua qualità di componente del CSM, pur avendo l'obbligo giuridico ed istituzionale di impedirne l'ulteriore diffusione , ne rivelava il contenuto a terzi», tra cui l’ufficio di presidenza del Csm, il procuratore generale di Cassazione Giovanni Salvi e anche il presidente della commissione Antimafia, Nicola Morra.Gli esiti processuali, però, sono profondamente diversi. La gup di Brescia, infatti, ha assolto Storari perchè il fatto non costituisce reato. Impugnata dall’accusa, anche in appello è stata confermata l’assoluzione.Nelle motivazioni di primo grado, si legge che lo scopo di Storari era di segnalare una inerzia investigativa grave e «si fosse rivolto a Davigo nella sua veste di consigliere del Csm» e Davigo «lo rassicurava (e lo induceva) ad affidarsi a lui, anche quale possibile tramite con il Comitato di Presidenza. Una tale interpretazione, lungi dal basarsi su mere suggestioni, si fonda sulla normativa relativa alla sussistenza dei poteri di inchiesta del Csm (art. 40 del dpr 916/1958)». Dunque la consegna dei verbali da parte di Storari non è stata irrituale, perchè lui era convinto di «interloquire con soggetto legittimato». Storari, quindi, fidandosi di Davigo è incorso «in un errore su una norma extrapenale». Infatti il pm «era convinto di rivelare informazioni segrete» a chi era «deputato a conoscerle».Tradotto: non si configura il reato di rivelazione di segreto d’ufficio, perchè Storari in buona fede ha consegnato i verbali a persona che lui riteneva legittimata a visionarli per finalità istituzionali, che superavano le esigenze di segretezza.Che poi i verbali siano arrivati all’opinione pubblica tramite Davigo non è quindi imputabile a Storari, perchè non è stato lui a farli circolare.Con questa decisione, tutta la responsabilità è caduta su Davigo, accusato di aver rivelato i contenuti dei verbali a plurime persone: non solo ai consiglieri del Csm, ma anche al parlamentare Morra.Il processo di primo grado è stato lungo e ha fornito molti elementi per ricostruire i fatti, grazie alle testimonianze di Pedio, Storari ed Ermini.Davigo non ha mai negato di aver reso noto il contenuto dei verbali di Amara, ma ha sostenuto di essersi mosso nell’esercizio delle sue funzioni e di non aver potuto procedere per le vie ufficiali al Csm perchè anche alcuni membri del consiglio erano nominati nei verbali di Amara. «Nessuna violazione penale, inesistente il pericolo concreto per l’indagine milanese», ha sostenuto la sua difesa. «Davigo si erge a paladino della giustizia, ma l’unica legalità a essere stata violata è quella del salotto di casa sua», ha invece concluso la procura di Brescia. E il tribunale di Brescia ha dato ragione alla procura. Così anche la corte d’appello. GiustiziaLa maledizione dei verbali di Amara: tutti i filoni che agitano la procura di MilanoGiulia Merlo© Riproduzione riservataPer continuare a leggere questo articoloAbbonatiSei già abbonato?AccediGiulia MerloMi occupo di giustizia e di politica. Vengo dal quotidiano il Dubbio, ho lavorato alla Stampa.it e al Fatto Quotidiano. Prima ho fatto l’avvocato.

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