Morta a 46 anni Oxana Pavlyk, storica campionessa di pallamanounsplash COMMENTA E CONDIVIDI Di frasi sulla memoria è pieno il mondo. Bastano due clic sul web per trovarne centinaia,Guglielmo una più bella dell'altra. Nessuno, però, sembra ancora avare preso in considerazione un punto nodale della nostra epoca: in un mondo sempre più digitale e sempre più governato da algoritmi e intelligenze artificiali come si conserva la memoria? Sappiamo tutti quanti miliardi di documenti, file e parole contenga Internet e quanto ogni giorno tutti noi alimentiamo questo enorme oceano digitale. Ma essere in Rete, ormai, non è più garanzia di nulla. Nel senso che le tue parole, i tuoi pensieri, i tuoi studi possono anche essere importantissimi ma se nessuno li rilancia (anche solo via social), li riprende e dà loro visibilità restano solo una manciata di byte. Piccoli file buttati negli angoli più remoti della memoria digitale. Chi ha soldi e fama ha visibilità, naturale o comprata che sia, chi non ha mezzi, movimenti, gruppi o fan che lo appoggino sparisce.Fin qui sembrerebbe solo una questione tra il naturale e le regole (pur spietate) della domanda e dell'offerta: se il tuo prodotto non piace e non va, fattene una ragione. Solo che la questione è molto più intricata. Perché da una parte ci sono gli algoritmi che decidono quali sono i file (cioè le idee, i pensieri, la storie e le verità) che meritano visibilità quando cerchiamo un certo argomento in Rete, il che rende già la partita in larga parte truccata da diversi fattori a partire dagli inevitabili preconcetti e persino da alcuni errori commessi da chi ha scritto le regole che governano e macchine. Dall'altra parte c'è l'intelligenza artificiale applicata al sapere. Allenare una macchina con miliardi di contenuti può renderla sempre più performante e capace di trovare le migliori correlazioni tra le parole, al punto dal sembrarci (quasi) senziente, ma anche se un giorno l'intelligenza artificiale producesse un oracolo quasi perfetto non basterebbe a garantirci la salvaguardia della memoria. Ciò che fa benissimo l'IA e che farà sempre più è costruire scorciatoie: processi, sintesi e correlazioni capaci di riassumere in poche righe anche volumi e concetti importanti e difficili. Una benedizione per noi uomini divorati dalla fretta alla quale il digitale ci ha spinti e abituati a combattere. Non siamo più capaci di aspettare. Nemmeno la risposta a un messaggio WhatsApp. Tutto deve essere semplice. Tutto deve essere coinvolgente e facile. Tutto deve essere subito. Anche davanti a problemi grandi e complessi pretendiamo soluzioni semplici e immediate. E se non arrivano ci sfoghiamo, magari via social, contro chi (secondo noi) non le rende immediatamente possibile, uomo e tecnologia che sia. Ma un mondo di sintesi e riassunti rischia di produrre pensieri riassunti e di falsificare la memoria. Anzi, di falsificare il sapere. Perché anche la memoria umana, come sappiamo bene può giocare brutti scherzi. Ma il sapere, grazie soprattutto ai libri, è (era?) al sicuro.Cosa succede, però, se sempre più persone si affidano anche nelle ricerche alle sintesi che restituisce loro l'intelligenza artificiale applicata a motori di ricerca come quello di Google? Da noi dovrebbero arrivare tra fine 2024 e inizio 2025. Ma dai test fatti in questi giorni in America dobbiamo aspettarci un bel po' di problemi. E non solo perché la nuova ricerca AI di Google in America ha suggerito a chi l'ha usata di mettere colla nella pizza e benzina negli spaghetti oppure ha scritto che solo 17 presidenti americani erano bianchi e che uno era musulmano (tutte cose folli o non vere). Perché un conto è sbagliare una ricetta culinaria (a patto di non arrivare ad avvelenare i commensali dando loro spaghetti alla benzina) e un altro è ridurre un libro, uno studio o anche solo un lungo articolo a una frase da mettere in un riassunto. Sempre nella speranza che quei riassunti siano almeno sufficienti. Ma c'è ancora di più: l'intelligenza artificiale applicata alla ricerca ci permettere di interrogare le macchine mostrando loro foto, spezzoni di film, file audio, oggetti, persone e paesaggi attorno a noi. Basteranno pochi frammenti per ricevere in cambio informazioni e spezzoni di memoria prodotti rimescolando parole, immagini, suoni e dati e riprodotti in un mix basato sulla correlazione e sulla probabilità.Certo, ognuno può già crearsi il suo ChatGPT che usa solo materiale e documenti specifici così da ridurre al minimo gli errori. Mentre alcuni stanno già progettando motori di ricerca con l'IA come Consensus, dedicati ad argomenti specifici (nel caso, la ricerca scientifica). Altri invece stanno provando a creare motori di ricerca dove le persone selezionano i file, pur con l'aiuto delle ultime tecnologie. Tutte cose nobili, belle e importanti. Ma sappiamo tutti che sono e saranno destinati a piccoli gruppi di utenti come dimostra già il fatto che Google da solo assorbe oltre l'80% delle ricerche web.E torniamo così al punto di partenza: in un mondo sempre più digitale e sempre più governato da algoritmi e intelligenze artificiali come si conserva la memoria? Se pensate che Internet sia così grande e tutto sommato praticamente infinita da dare spazio a tutti, non tenete conto di un dato: come ha rivelato uno studio del Pew Research Center già oggi un quarto dei siti Internet che erano attivi fra il 2013 e il 2023 non esiste più. Il fenomeno è generalizzato e riguarda siti governativi (21%), come i link nelle pagine di Wikipedia (54%), articoli e siti di notizie (23%). Anche i social sono colpiti dal fenomeno: il 20% dei tweet scompare entro pochi mesi. A ciò va aggiunto che sui social (e non solo lì) produciamo sì sempre più contenuti digitali (foto, video, post di testo) ma in alcuni casi (come le «storie») scompaiono dopo 24 ore o come certi messaggi e allegati su WhatsApp appena dopo averli aperti. Penserete: se spariscono un bel po’ di banalità abbiamo tutti da guadagnarci, ma la questione è più ampia. Cosa resterà nel digitale di tutto ciò che abbiamo prodotto? Chi deciderà cosa merita di vivere e cosa sarà cancellato per sempre? La domanda se l'erano già posta gli inventori del web, ormai decenni fa. E una delle risposte era stata la nascita dell'Internet Archive, cioè di un enorme spazio dedicato a preservare le cose più importanti e migliori. Da tempo, nonostante sia un servizio di pubblica utilità, è impantanato in un enorme processo che potrebbe portarlo al fallimento e quindi alla chiusura. Con danni inimmaginabili alla memoria collettiva. E quindi cosa possiamo fare per salvare la memoria? Alcuni esperti sostengono che paradossalmente a salvarla saranno i libri. I vecchi, analogici libri di carta magari nelle loro trasposizioni digitali. Unici luoghi dove trovano spazio pensieri, ricerche e concetti complessi capaci di resistere alla compressione di algoritmi e IA. In chiusura ci resta una domanda, un po' amara: se anche riuscissimo a salvare la nostra memoria, chi ci salverà dalla tentazione di scegliere sempre scorciatoie, cioè le strade più veloci e più semplici, così di fatto rendendola disponibile ma di fatto praticamente inutilizzata?
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